Drappeggi, ampiezze, maniche raglan e inforcature dal fit anatomico-sartoriale. La collezione di Belvest presentata alla 91esima edizione del Pitti Uomo è un insieme coerente di know- how tecnico e ispirazione internazionale, magicamente in equilibrio tra linee britanniche e leggerezze italiane, unite dal fil rouge di un gusto aristocratico e d’antan. L’azienda veneta con oltre cinquant’anni di esperienza nel settore investe da sempre in capitale umano e ricerca sui tessuti che, per la stagione invernale 17/18, spazia dai pregiati cashmere scozzesi alle eccellenze italiane, spingendosi nel Far East per delle soffici flanelle giapponesi con disegni diversi sui due lati, per creare interessanti movimenti visivi sulle paramonture dei cappotti.
I modelli di giacche della collezione Belvest sono riconducibili a cinque – dal CEO al Natural Soft, passando per Jacketinthebox, G50 e Jersey Blazer – e sono caratterizzati da un climax discendente quanto a formalità del capo. Il CEO, loro bestseller, presenta spalla con una discreta imbottitura e ovattina nel giromanica, è intelato e pensato per incontri formali e di lavoro; Natural Soft ha una spalla meno formale, è declinato in colori naturali non tinti, che assicurano una mano ancor più morbida rispetto alle colorazioni più scure – e si esprime perfettamente nell’ambito dello spezzato e delle circostanze non troppo formali; il modello Jacketinthebox, sempre intelato, presenta un floating canvas - ovvero una tela leggerissima e cucita al tessuto con punti lenti – la spalla qui è naturale, completamente svuotata anche nel giromanica e il capo è così morbido che – nomen omen – potrebbe facilmente essere riposto, appunto, in una scatola. Il G50 e il Jersey Blazer, invece, sono puro tessuto e cuciture, senza tele né spalline, una sorta di giacca camicia, dal cran molto spiovente che strizza l’occhio alla sartoria di un tempo, pensata anche in versione sportiva, con un cappuccio che è il prolungamento del collo, cucito ai revers.
Da appassionato di sartoria avrei probabilmente realizzato dei baveri un po’ più ampi, sui 9 cm nel monopetto anziché 7, e almeno 11 nel doppiopetto, ma è solo una questione di gusti, invero puntualmente appagati all’interno della Capsule Collection, volutamente più di tendenza, in cui i baveri raggiungono anche gli 11 cm sul monopetto, a detrimento, però, delle proporzioni, che nel complesso sono molto più asciutte. Nel complesso, infatti, il fit è notevole grazie a giromanica obliqui e più ampi sul dietro rispetto al davanti e quarti anteriori aperti sul fondo, in stile cavallerizza, come direbbero i sarti Napoletani. L’attenzione al dettaglio è visibile anche da un occhio non allenato: le tasche applicate, i taschini in petto e le cuciture delle spalle rispettano sempre i disegni del tessuto, senza spezzarli brutalmente come accade in alcune confezioni.
Stupenda, infine, la collezione di cappotti, protagonisti indiscussi della collezione. “I capi stretti e corti sono cheap” - afferma il designer di Belvest mentre mi mostra un cappotto monopetto stile Mackintosh, ampio, lungo e con un drappeggio che definirei nobile (vd. foto). Tra i preferiti di chi vi scrive, un doppiopetto lungo con manica raglan e cuciture “doppie” (rimboccate), in un tessuto bouclé schiacciato così morbido da sembrare cashmere, tasche oblique tagliate e sei bottoni “a colonna” anziché a imbuto. In basso alcune foto dei prodotti indossati.
Bespoke hugs,
Fabio
