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The American dream comes true in the Quartieri Spagnoli (literally, The Spanish neighborhoods, Ed.) of Napoli and has the shape of a hand-stitched pair of trousers with tacks and pleats. The character is Salvatore Ambrosi. 34. For half year he travels around the world and for the rest he works in the same workshop that once belonged to his grandfather. It is hard to believe it, but only with the strength of the quality, his trousers – hailing from the most working-class neighbourhood of Napoli - reached Arab princes, Russian oligarch and Asiatic tycoons. And today he even became a case study for Stanford’s anthropologists.
Salvatore did not attend the high school, “At eight years old I was already working alongside y father” – he says. He prefers letting the products talk. Offcuts of fabrics fill the floor, on the walls the inevitable poster of Maradona few metres away from a crucifix. Needles in the fabrics don’t make any noise. From outside, maybe one could just hear the steam coming from the ironing machine. Salvatore with his family and an employee – in a small workshop – make around thirteen trousers per day. His father cuts the fabrics, Salvatore sews, the employee starches and in 45 minutes the trousers are ready for the fist fitting. The pace here is very quick; names of exotic cities are written by pen on the boxes, from Manila to Osaka, passing by Honolulu and New York. A Neapolitan coffee interrupts the interview.
He did the first business trip when he was just 18, “I did not speak a word of English, I flew to NYC for two clients with the money just for the flight and the hotel; orders were not enough and the balance was negative” – he smiles. He reminds of his father’s scepticism at the beginning, when it was difficult to have people believe in him. And he also reminds of his experience in Kiton, “I knew I was good, but they were not giving me the chance to demonstrate it”. So he quits to set up his own business. “But some years ago they asked me to advice them on the cut of the trousers” – he says understandably proud of himself. His hands are completely ruined by the needles and while in Italy some magazines are too worried with balancing of accounts, a Korean magazine, Luel, puts those hands on the cover. Those are the hands of an artisan, like those artisans who made the success of companies such as Kiton, Ferragamo, Isaia, Attolini and so on. Salvatore is literally conquering the bespoke industry, making trunk shows in the most important multibrand shops and serving the most elegant connoisseurs. “That’s why I don’t make a ready-to-wear collection; I would become too accessible” he says.
Among those who gave a real jumpstart to his business, Salvatore cites Michael Alden, founder of the blog The London Lounge and three Korean customers – Dean, Sean and Eddie – who were the first to cover the accommodation and flight expenses to Seoul just to have his trousers. They got to know him through The Rake magazine, in which he appeared in a photo beside his father in the workshop, with that bench (bancariello in Neapolitan dialect, Ed.) inherited from his grandfather. So Salvatore, despite coming from a difficult area of the city, talked his way up and made it. And in September will also move the workshop to the central Via Chiaia, the historical city of the elegant Neapolitan men. “But I am not selling the old workshop; maybe one day I will turn it into an archive with photos of my trips and special fabrics, who knows” – he says.
Ambrosi trousers are completely hand-made; only the internal leg seams are made by machine, because they are straight. Also the centre back is hand-made, with a double stitching: one more rigid inside and one more elastic outside. The last buttonhole of the fly is slanted and the turn-ups feature a button inside. 95% is the percentage of manual working. “I don’t have paper models; if I did, I would go crazy” he says smiling. Salvatore directly cuts the fabric, right after taking the measurements of the customers. The bell rings: it’s a delivery of cloths. Holland & Sherry, Loro Piana, Vitale Barberis Canonico, printed Vicuña worth thousand of Euros. Another bunch of precious fabrics is ready to be cut in the Quartieri Spagnoli of Napoli. Destination: World.
Bespoke hugs,Fabio ___________________
Il sogno americano che si realizza nei Quartieri Spagnoli di Napoli ha la forma di un pantalone cucito a mano, con travetti, mezzi punti e pinces. Il protagonista è Salvatore Ambrosi. Anni 34. Sei mesi all’anno viaggia per il mondo, sei mesi cuce su una sedia nello stesso laboratorio dove ha lavorato suo nonno e dove tutt’oggi lavora con suo padre. Difficile crederci, eppure, con la sola forza del prodotto, i suoi pantaloni sono arrivati a vestire principi arabi, oligarchi russi e magnati asiatici o americani, pur partendo da un “vascio” (napoletano per “basso”, “casa al piano terra” ndr) in uno dei quartieri più popolari del capoluogo campano. E oggi anche antropologi di Stanford vengono a via Nicotera per studiare il suo caso.
Salvatore non ha fatto le scuole alte, “A otto anni ero già in bottega a lavorare con mio padre” – preferisce far parlare il prodotto. Scampoli di tessuti ricoprono il pavimento, alle pareti l’immancabile immagine di Maradona a pochi metri da un crocefisso. Gli aghi nel tessuto non fanno rumore. Da fuori – forse - si sentirebbe solo il vapore che fuoriesce ciclico dal ferro da stiro professionale. Padre, madre e un lavorante - in pochi metri quadri - creano circa tredici pantaloni al giorno. Papà Antonio al taglio, Salvatore cuce, Ciro – il lavorante – allo stiro e la “catena di montaggio” è fatta. Prima il taglio, poi l’imbastitura. Next step è la stiratura, dopo si assembla il tutto e il pantalone in 45 minuti è pronto per essere provato. Ci si lancia al volo i pantaloni tra una fase e l’altra, il ritmo è concitato, gli occhi sono fissi sui tessuti anche durante l’intervista. Sugli scatoli, scritti a penna, nomi di città lontane, da Manila ad Osaka, passando per Honolulu e New York. C’è odore di moka. E’ arrivato il caffè.
Il primo viaggio di lavoro è a diciotto anni, “Non parlavo una parola di inglese, ero andato a New York per due clienti con in tasca solo i dollari necessari per il volo e l’albergo; gli ordini non furono abbastanza e il bilancio fu in perdita” - sorride. Ricorda lo scetticismo iniziale del padre per i suoi viaggi e lo sconforto di quegli anni, in cui era difficile farsi un nome. Rammenta anche la breve esperienza in Kiton, con la tipica sicurezza napoletana che in lui non sfocia mai in sicumera. “Ero l’ultimo arrivato lì, sapevo di essere bravo, ma non mi davano lo spazio per crescere” - mi spiega. Dopo qualche mese si licenzia, capendo che avrebbe dovuto farsi le ossa da solo. “Eppure, poco tempo fa – più di 10 anni dopo - sono tornati da me, avevano bisogno di una mia consulenza sui pantaloni” - mi dice con quella punta di comprensibile orgoglio di chi ce l’ha fatta con le proprie mani. E proprio sulle sue mani cade l’occhio: i polpastrelli sono rotti dall’ago. E mentre in Italia le testate sono troppo occupate a far quadrare i conti con la pubblicità, la rivista coreana Luel – quelle stesse mani le ha messe in copertina. Sono le mani del made in Italy, da cui sono partiti tutti i grandi Brioni, Ferragamo, Kiton, Isaia, Attolini e altri. Sono le mani di un artigiano che sta letteralmente conquistando il mondo del bespoke, senza confini di sorta. I suoi regni sono i multibrand d’eccellenza, i suoi clienti i più sofisticati connoisseurs, che lo scelgono per l’assoluta esclusività del prodotto. “Ecco perché non lancio una collezione di ready-to-wear, sarei troppo accessibile” - specifica.
Tra le persone che hanno dato un vero jumpstart al suo business Salvatore cita Michael Alden, fondatore del blog The London Lounge e tre clienti Coreani - Dean, Sean ed Eddie - che per primi gli coprirono spese di viaggio e pernottamento a Seoul pur di avere i suoi pantaloni. Avevano letto di lui sul celebre magazine The Rake, in cui lui, poco più che diciottenne, appare in foto con papà Antonio. Sempre lì, in quella bottega di 60 metri quadri con un bancariello che risale al 1946, dove lavorava anche suo nonno. Insomma, nel microcosmo dei Quartieri Spagnoli, periferia esistenziale colma di postriboli fronte strada e rassegnazione dilagante, c’è un giovane che ci è riuscito e a Settembre si trasferisce anche in uno spazio più grande nella centrale via Chiaia, storica strada degli elegantoni napoletani. “Ma questo posto non lo lascio, è la mia casa, ci sto bene; forse un domani ci farò un archivio con foto dei miei viaggi e tessuti da collezione, chissà” - lo sguardo ora è sognante.
I pantaloni Ambrosi si avvicinano alla macchina da cucire solo per le cuciture interne delle gambe, in quanto dritte. Anche il centro dietro è fatto interamente a mano, con doppia cucitura: una più robusta all’interno e una più elastica all’esterno. L’ultima asola in basso sul fintone (la patta, ndr) è obliqua, il risvolto è retto da un bottone interno. 95% è la percentuale di lavoro manuale nel suo prodotto. “Non ho cartamodelli, impazzirei!” mi dice con una punta d’ironia. Qui si taglia direttamente la stoffa dopo aver preso le misure del cliente. Squilla il citofono. L’eleganza di quei gesti ripetuti viene interrotta per un attimo. E’ una consegna di tessuti. Holland & Sherry, Loro Piana, Vitale Barberis Canonico, Vigogna stampata da cinquemila Euro al metro. Un altro carico di tessuti pregiati è pronto per essere lavorato. Destinazione: mondo. Origine: Via Nicotera, Quartieri Spagnoli, Napoli.
The work bench - Il bancariello
I wrote about Salvatore Ambrosi also on GQ Italia
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Bespoke Hugs,
Fabio
Catching up with Salvatore Ambrosi
29 Luglio 2014